martedì 7 aprile 2015

Lettori si cresce: invito alla lettura senza slogan.

  
È possibile trasmettere l'amore per la lettura senza slogan, senza retorica spiccia, senza trasformare la letteratura in un passatempo lezioso, in un rifugio alienante, buono per nutrire un business da giostrai? Sto parlando di tutto quel filone editoriale che fa leva sulla magia dei libri (alimentata dal profumo della carta naturalmente), sulla bontà dei librai e su altre baggianate ruffiane. La variante pseudocolta dell'amico gay. Molto graditi gatti, tazze fumanti e donnini in gonnellina e ballerine, stampati sulla copertina, grazie. L'ultimissimo prodigio: La lettrice di mezzanotte (?). Ma davvero si vuole salvare la letteratura rendendola innocuo hobby per signorine un po' tocche? Per piacere. 


Giusi Marchetta, al contrario, punta tutto sulla letteratura che infiamma. Mette al bando, i diritti del lettore di Pennac, o almeno uno: il verbo leggere sopporta l'imperativo. Leggi è un bellissimo comandamento. Scansa luoghi comuni polverosi e vuoti: "leggere è bello, interessante, educativo ecc..". Va al cuore della sua ossessione, mostrandone anche i lati cattivi, oscuri. La lettura non è naturale, non è bella e basta. Si legge anche per isolarsi, per allontarsi dal mondo. La letteratura non sempre insegna, non ci rende migliori, non ci rende più bravi. Leggere non è utile ma è necessario. Leggere in modo critico, curioso, che poi è anche l'unico modo autentico.
I libri non sono più interessanti delle persone. La letteratura è fatta per le persone, dalle persone. Qualsiasi tentativo di rendere più facile, più rassicurante, più sgargiante il mondo dei libri rispetto a quello della vita è imbarazzante.
"Lettori si cresce" è un ibrido tra narrazione e saggio, per nulla prevedibile, di un'ironia sagace. Tanti spunti, tante tipologie di non-lettori (e anche qui si dimostra l'intelligenza e l'antiretorica di indagare la realtà a partire dall'esperienza e non dalla volontà di imbonire quel mostro gigantesco, sorgente di tutti i mali, che è diventato "l'italiano che non legge"). Davvero molti i passaggi illuminanti, li inserisco qui sotto. Scusate per la qualità infima. 




Quando ci scontriamo con letture particolarmente ricche, succede che improvvisamente anche le discussioni più banali, trite e ritrite nella quotidianità, acquistino una luce diversa. V'invito a leggere questo post su facebook da cui è partita una discussione interessante su cosa la letteratura per ragazzi dovrebbe e non dovrebbe fare. Prima della lettura di "Lettori si cresce" probabilmente avrei risposto in maniera diversa, con più cinismo, senza dubbio.
Il secondo spunto invece c'entra più che altro con l'invito alla lettura e le risorse che la tecnologia ci mette a disposizione. Argomento che non è affrontato direttamente nel saggio ma su cui ho riflettuto. Vi riporto per intero il messaggio ricevuto sul mio profilo tumblr e la mia risposta a riguardo.  

Ho letto la tua recensione su anobii riguardo "Lettori si cresce" e mi hai convinto a prenderlo :-) Tu lo hai letto in cartaceo o eBook? Sono indecisa per via del prezzo: rispettivamente 14 e 8 euro.. È un bel risparmio ma 8 euro per un ebook mi sembrano sempre troppi :/



L’ho letto in ebook grazie alla biblioteca (le novità più interessanti ci sono quasi sempre, è incredibile). Il sistema MLOL (lo so che fa ridere) mi sta salvando la vita. Ha accresciuto enormemente il mio accesso a tantissimi titoli che anche solo per pigrizia (sai quanto è faticoso andare in biblioteca? molto poco ma ogni scusa è buona) non avrei mai letto. Con un click, hai tra le mani la risorsa desiderata. Anche per lo studio, è un sistema rivoluzionario! Immagina di scrivere una tesina. Con il cartaceo per trovare quel passaggio da citare ci staresti duemila anni, con il digitale c’è la funzione “trova”, sprecando un massimo di tre minuti d’orologio. In Europa, soprattutto al Nord, tutte queste cose sono scontate e anche ostacolate da molti meno limiti (molte biblioteche italiane non aderiscono, il catalogo digitale va accrescendosi poco alla volta, si possono scaricare solo quattro titoli mensilmente ecc..). Ecco perché è importante che facciate richiesta alla vostra biblioteca del servizio e facciate tantissimo passaparola. La cultura genera valore al di là del profitto diretto. Cosa voglio dire? Prendiamo l’esempio di questo saggio. Io l’ho letto gratuitamente. La mia recensione su goodreads (oltre al mio passaparola tra amici lettori ed interessati all’argomento) ha attirato già un minimo di sette persone che hanno affermato di voler acquistare il libro. Bada che sto tenendo conto SOLAMENTE dei risultati tangibili (cioè persone che hanno manifestato di voler procedere all’acquisto), non ho contato le influenze (in un futuro magari compreranno il libro o ne parleranno con qualcuno). Io stessa, essendo rimasta particolarmente impressionata dal saggio, voglio procurarmene una copia cartacea. Dove voglio andare a parare? La biblioteca (ma in generale i contenuti accessibili su internet) non sono risorse “regalate”. E producono risultati. Il saggio di Giusi Marchetta non l’avrei comprato perché non ho ancora un’autonomia economica che mi permette di comprare libri solamente perché ne sono incuriosita. Devo essere spinta da una sorta di sicurezza. Con la biblioteca invece sono libera di leggere quello che voglio, risparmiando laddove non vale la pena, aggiungendo valore e moltiplicandolo all’interno delle mie cerchie sociali laddove invece ciò che ho trovato mi entusiasma. Valore inteso come sia discussione sui contenuti del libro, sia stimolandone l’acquisto. Una copia gratuita disponibile = sette possibili acquisti. Una copia a pagamento che non potrò comprare = zero patata. Il discorso è lungo e complesso ma ci credo fortemente. Detto ciò, il libro merita di essere supportato. Se non sei un tipo che sottolinea, o legata in modo particolare al supporto fisico, prendi l’ebook che risparmi. Credimi, gli otto euro li vale tutti. 
P.S. Se hai proprio i soldi contati ti consiglio di prenderlo su siti di e-commerce online come IBS, c'è sempre lo sconto (ho controllato: 11 euro!). Amazon boicottalo ché è malvagio. Oddio, pure Ibs ha una dose di cattiveria non indifferente al suo interno visto che mi ha levato le spese di spedizione gratuite. Vergognatevi tutti. 

giovedì 26 marzo 2015

La verità capovolta, Jennifer duBois



Ma quanto è brutta la copertina italiana?

"Da bambino era stato paziente con le domande, sicuro che un giorno sarebbero arrivate le risposte. E adesso che era cresciuto si voltava a guardare e ritrovava tutte le domande là dove le aveva lasciate: coperte di polvere, forse, ma straordinariamente ben conservate. Le domande duravano più di ogni altra cosa, in realtà; le domande e gli oggetti. Tutto il resto andava verso la distruzione". 


Se il romanzo d'esordio della scrittrice ("Storia parziale delle cause perse") rappresenta l'esempio di una narrazione eccezionale  - soprattutto, ma non solo - per merito della storia, la seconda opera della Dubois ("La verità capovolta") è un libro sorprendentemente ben riuscito nonostante la storia. 
Un episodio di cronaca nera è l'ispirazione per il romanzo, un caso di omicidio piuttosto conosciuto e sfruttato in tutti i modi possibili (dal becero intrattenimento televisivo al sensazionalismo della stampa, al libro verità, al docu-film ecc..). La scelta,  all'apparenza molto scaltra, di riaccendere i riflettori sul delitto di Perugia, l'omicidio di Meredith e il conseguente circo mediatico su Amanda Knox, ricade invece nella categoria: mancanza d'immaginazione. Non che un omicidio non sia interessante. Tuttavia la scelta di questo particolare caso non può che evocare l'immagine di una carogna servita ad un sontuoso ricevimento. Lo spettro del cattivo gusto aleggia su questo romanzo, soprattutto in virtù del fatto che è stato riaperto il processo (e sta per giungere una sentenza proprio in questi giorni!). La letteratura certamente non deve avere argomenti tabù. Eppure non si può dire che la duBois provi a ribaltare certe bassezze compiute all'interno della narrazione dei media tradizionali: lo strisciante sessismo, l'elemento scabroso, la morbosità del connubio erotismo e violenza. 
La cronaca nera gioca da sempre sul giudizio preventivo, sull'apparenza, sul processo alle intenzioni, sul "mai chiarito", che però non è una categoria del pensiero ma un pretesto per poter scegliere da soli il proprio colpevole, il proprio movente, la propria preferenza. 
La duBois è infinitamente più raffinata del grossolano e crudele carosello mediatico. Sì, condanna la superficialità dei giudizi, il cannibalismo dei sentimenti, la parzialità delle storie. Ma in fondo fa tanto meglio? Il suo romanzo è un gioco: sulla fallibilità delle percezioni, sulla verità, sulla psicologia di personaggi nebulosi(forse fin troppo), cerebrali, annosi. Ed ecco perché si resta tanto male alla fine. La desolazione delle ultime trenta pagine ci sorprende e mal si adatta al resto. Tutto il romanzo è ludico, enigmatico, quasi mai drammatico. Siamo affascinati, mai pienamente coinvolti. Capiamo Lily,  apprezziamo il suo carattere ambivalente, egocentrico e inconsapevole, di un’inconsapevolezza fatale che ti porta a cacciarti nelle situazioni più spiacevoli per quell’assurda convinzione che il male non ti tocchi.  Sviluppiamo empatia, soprattutto perché sappiamo che Lily è una persona come noi, reale, possibile, complessa.  è una ragazza che fa la ruota durante un interrogatorio.  Il perché però è lasciato all’interpretazione. Questo è il problema. Il fatto che nel romanzo della duBois, esattamente come in un servizio di cronaca nera trasmesso al telegiornale, tutto si trasformi alla fine in un gioco delle parti. E ti senti anche tu uno spettatore idiota che magari ci ha creduto alla buona fede del sospettato x e invece che peccato dovrai pagare la scommessa al tuo barbiere che invece aveva puntato sull’altro, quello innocente. 
Il punto è che non c’è una morale più profonda di questa. è un romanzo straordinariamente buono nella misura in cui tutti i personaggi hanno una voce distintiva, bella, potente. è un romanzo riuscito perché nonostante la storia si trascini più del dovuto verso volute davvero non necessarie, resti lì a leggere perché la duBois è così brava nell’avvincere il lettore alle sue parole, così lontane dall’ordinario, dal prosaico. è un bel romanzo perché ti lascia sperare che ci sia qualcosa di più rispetto al gioco vero/falso e in effetti c’è: nel groviglio di storie e ricordi e malinconie che sparpaglia intorno la scrittrice, nei dettagli sommersi del resoconto dei personaggi. Al centro però c’è una storia evitabile, brutale senza essere null’altro che questo. 

Il finale è doppiamente malvagio: da un lato, ti fa stare male quasi fisicamente perché hai vissuto nella mente di personaggi brillanti ma non così tanto da sfuggire alla bestialità del mondo. Dall’altro, ti lascia l’amarezza di  aver letto un romanzo di una brava scrittrice che ha deciso di prendere una scorciatoia.  No, non ci sono beceri colpi di scena o scivoloni disastrosi ma rimane un romanzo che sfiorisce in fretta. 

Note a margine: titolo in italiano decente, peccato che in inglese il senso è decisamente meno banale e si riferisce alla ruota che la protagonista esegue mentre è interrogata dalla polizia. Gesto che getta sospetti e ambiguità sulla protagonista: fredda calcolatrice o ingenua vittima delle circostanze?
La copertina italiana invece non mi piace, la trovo asettica. Molto meglio l'originale.


lunedì 16 marzo 2015

Annientamento di Jeff Vandermeer. Luoghi non segnati sulle mappe.


“L’osservazione di tutto questo ha soffocato le ultime ceneri del mio irresistibile impulso a conoscere ogni cosa…”.

Quattro donne senza nome si avventurano per scopi scientifici all’interno dell’Area X. Si tratta della dodicesima spedizione all’interno della zona: un’area disabitata sulla costa americana che la natura ha iniziato a reclamare per sé. Un luogo altro, in cui le leggi fisiche sembrano rispondere ad altri dettami, in cui opera una Forza che altera l’ambiente in modi imprevedibili e innaturali. La Southern Reach, segreta agenzia governativa, è incaricata di indagare sulle anomalie del luogo attraverso cicliche missioni di scienziati, il cui compito principe è l’osservazione. Scrivono i risultati della loro esplorazione su un diario (e sono proprio le pagine del diario della Biologa che leggeremo). Sono vietate le comunicazioni verso l’esterno così come l’uso di strumenti tecnologici. 

Annientamento è caratterizzato dal ritorno al primitivo. Jeff Vandermeer ci introduce in un contesto selvaggio, primordiale, fitto di mistero, al confine con il paranormale. Adesso che siamo così immersi nella cultura tecnologica, in cui si ingigantiscono le ombre degli incubi proiettati dalla fantascienza, Hal 9000 e leggi della robotica sono messi da parte. 
La lotta ingaggiata in Annientamento non riguarda l’uomo e le sue creature. Più vicino è forse Alien e il suo predatore dall’intelligenza spietata. Tuttavia il senso incombente di minaccia inevitabile - così ben reso dalll’autore - non proviene dall’esterno, nello Spazio sconfinato. L’attenzione è rivolta al nostro pianeta. Perché cercare altrove se così poco percepiamo e conosciamo del nostro mondo, di cui ci crediamo i padroni? 

Tutto ciò che succede nell’Area X è infatti oltre la capacità dei sensi umani di capire e orientarsi. Figuriamoci di controllarne l’ambiente. Apprendiamo che l’Area si è formata a seguito di un disastro ecologico, causato dall’azione umana. La zona contaminata è la risposta della Natura agli effetti devastanti dell’umanità. Anziché considerare il nostro pianeta come qualcosa di dato ed immutabile, Vandermeer ci apre gli occhi su come la Natura sia sempre in fase di mutazione, imprevedibile, adattivo. E se la Terra avesse creato una forza superiore all’Uomo, che possa contrastarlo, assimilarlo, annientarlo? 

La narrazione è investita da una grande attenzione alla percezione. L’autore possiede un’intensa consapevolezza di quanti mondi nascosti vi siano al di sotto dei paesaggi naturali e sulla fallacia dei sensi umani di percepirli. Gioca su questa mancanza.  
La protagonista di Annientamento vede ribollire l’inspiegabile, tenta di risolvere l’enigma dell’ignoto con mezzi razionali (con quanta sicurezza all’inizio si aggrapperà al suo microscopio!). Chi meglio di lei? Biologa, esperta degli ecosistemi in transizione, figlia unica ed esperta negli usi della solitudine, un’osservatrice perfetta, che si mimetizza, si confonde con il paesaggio. Il suo soprannome è uccello fantasma
Probabilmente proprio grazie a queste sue capacità di adattamento, subisce da subito l’influenza dell’Area X, ne è infettata. Diventa quindi una narratrice inaffidabile: la sua percezione dell’ambiente è amplificata, distorta. Il suo è un viaggio incubo che la porterà ad un mutamento totale, una metamorfosi.

Vandermeer sembra andare oltre al genere del body horror alla Cronenberg. Annientamento è un lavoro che fa dell’ibridazione una cifra stilistica, non solo il nucleo narrativo. La contaminazione è presente nell’ambiente, nei personaggi, nello stile. è possibile creare dei parallelismi con Lost, Alien, Stalker e autori come Lovecraft, China Mieville, Clive Barker. Le influenze sono tante, la rielaborazione che ne fa Vandermeer si rifiuta di essere etichettata. 

La corrente è quella del new weird che accoglie autori anti-tolkeniani, impegnati nella creazione di mondi ibridi, al confine tra fantasy e fantascienza, originali e rigorosamente verosimili. Altra caratteristica è quella di arricchire la narrazione di un tessuto simbolico fitto e donare una complessità psicologica ai personaggi che permetta di superare le distinzioni canoniche tra bene e male. Proprio questo elemento aggiunge ancora più ambiguità alla storia. Viene in mente la citazione di Lorne Malvo in Fargo (serie tv): “There are no saints in animal kingdom. Only breakfast and dinner”. Non ci sono santi nel regno animale: solo colazione e cena. L’Area X è un luogo ancestrale, l’orientamento (soprattutto morale) è reso vano dalla più micidiale delle tecnologie: il mimetismo. Distinguere la realtà dai suoi camuffamenti è decisivo per la sopravvivenza. 

Annientamento è una fionda tesa. La fascinazione verso il mistero insondabile non basta, ciò che dona bellezza inquietante alla storia è la vena immaginifica dello scrittore, le brillanti riflessioni sui limiti del sapere e soprattutto l’indagine nella mente della protagonista. Che cosa l’ha condotta davvero nell’Area X? Qual è la sua storia?
Il romanzo è un’angosciosa apnea, disturbante e contorto, ti lascia in uno stato di indeterminatezza. Le risposte sono poche ma non inesistenti o incoerenti (qualcuno ha citato Lost una volta di troppo). La filosofia è questa: “Quando siamo troppo vicini al cuore di un mistero, non c’è modo di riallontanarsi per vederlo nel suo insieme”.
Dobbiamo, come la Biologa, accontentarci di indizi, deduzioni, approssimative e parziali.

“Mi rendo conto che tutti questi ragionamenti sono incompleti, inesatti, imprecisi, inutili. Se non ho vere risposte è perché non sappiamo ancora cosa chiederci. I nostri strumenti sono inutili, i nostri metodi approssimativi, le nostre motivazioni egoistiche”. 

Annientamento è un luogo non segnato sulla mappa: difficile inquadrarlo; inoltrarsi al suo interno può essere azzardato ma, una volta entrati, la curiosità avrà la meglio. 

Note a margine:
L'aspetto che mi ha più colpito del romanzo è l'attenzione meticolosa al mimetismo. Io ho delle teorie riguardo alle misteriose creature della storia che si rifanno precisamente a questa capacità naturale che trovo stupefacente e pericolosissima. Attendo di parlarvene prossimamente in un post zeppo di spoiler.
Qui potete trovare un elenco di tutti i libri che hanno aiutato l'autore alla composizione del romanzo. Domani, 17 Marzo, sarò a Torino per partecipare ad un incontro con l'autore, insieme ad altri blogger, giornalisti e scrittori. Non vedo l'ora.
Annientamento è il primo romanzo della trilogia dell'Area X che uscirà nel corso di quest'anno, sempre per Einaudi.
La bellissima copertina è opera di LRNZ (autore di Golem, Bao). Si è occupato anche delle copertine degli altri due volumi della trilogia a cui potete dare una sbirciata qui.

martedì 3 marzo 2015

Il business plan non è la lista della spesa #Dilloinitaliano


Sto cercando di smetterla di utilizzare termini inglesi (o meglio, il celebre mezzo-inglese) per ogni quisquilia perfettamente traducibile in italiano da quando ho letto di questa iniziativa dell'Accademia della Crusca (hanno lanciato anche un hashtag: #dilloinitaliano ). Ditemi che anche voi avete lo stesso problema. Non mi reputo una di quelle sciroccate che usa termini come briefare, brainstorming (per indicare l'incontro al bar con gli altri anziani ed elaborare la strategia migliore per far suonare meglio l'ascella), cool, car-sharing, meeting, droppare, killare, deliverare (santo cielo), apericena (ah, questo non è un termine mongo-inglese? ah, avete ragione, questo è solo ILLEGALE). Tuttavia devo dire che anch'io ho ceduto a diversi termini malevoli come, ahimè, instagrammo, che almeno, però, uso con la giusta dose di ironia. E ammetto con vergogna di aver pronunciato fin troppo spesso "top" come un milanese qualunque.
Sarà che studiando economia aziendale e marketing mi sono sentita più dentro ad una distopia con un linguaggio tecnico-rincoglionente, oltre che brutto quanto i gemellini Miseria e Ignoranza ne Il canto di Natale di Dickens. Mi serve un brainwash...ehm...un cambiamento radicale. L'iniziativa #dilloinitaliano potrebbe aiutarvi a non sembrare arrogante e fulminato come Flavio Briatore (memento: ha chiamato suo figlio NATHAN FALCO).
Le contaminazioni dalle altre lingue ovviamente sono bellissime. I prestiti, tuttavia, sono riusciti ed eleganti quando veramente arricchiscono una lingua, non quando la storpiano. E soprattutto: volete veramente incominciare a parlare come Nicole Minetti?
Vi giuro che ho sentito in tram una signora dire che necessitava di un hair stylist. UN PARRUCCHIERE, signò. Un parrucchiere, si chiama.
Fate un piccolo sforzo, fate sparire dal vostro vocabolario termini come: mission, vision. Compra una vocale, gira la ruota e salva una parola in italiano!
Avete notato, poi, come ci sia una coincidenza che crea quasi spavento tra le persone che parlano come dei profughi dal Paese a metà strada tra Ibiza e la Costa Smeralda e il non conoscere nemmeno per sbaglio la lingua inglese? Fateci caso. Sono degli impostori, degli ingannevoli fingitori. E no, non come il poeta.
Un conto è il linguaggio specialistico adatto ad ogni settore lavorativo (come nel caso della comunicazione e dell'economia), un altro è usare espressioni come "sei out", skills, appeal, asset, wrap-up (!!!). Amici, il business plan non è un termine adatto per indicare la lista della spesa. Senza contare che un mortaccitua non sarà italiano standard ma è sempre valido.
Nel caso di dubbi, trovate qui un compendio di 300 parole da dire in italiano che non hanno nessun bisogno di essere rese in inglese.

Discorso a parte va fatto per il linguaggio cciovane, il genere di abomini partoriti dalle chat che DEVONO rimanere nelle chat. Sto parlando di tutto l'armamentario di LOL, YOLO (ancora non ho capito che accidenti voglia dire), IMHO, LMFAO ecc.. Se questi termini sono assolutamente impronunziabili o ancora peggio vi fanno assomigliare a dei lama sotto sedativi quando vengono emessi dalle vostre boccucce di rosa significa che sono nati per essere scritti (se proprio dovete usarli anche lì).
Attendo con terrore il momento in cui troverete il modo di tormentare noi poveri plebei con il simbolo della luna nera delle culture giovanili ai giorni nostri: la faccina XD. Smettetela, vi supplico.

L'unico mezzo inglese riconosciuto dalla sottoscritta è questo capolavoro:


P.S. Mi rendo conto di quanto sia ironico il fatto che la petizione in realtà salti fuori come petition ma la giustificazione c'è: il sito è internazionale.

sabato 20 dicembre 2014

Consigli per non rovinare il Natale ad un Lettore





















Lo scorso Dicembre ho stilato una lista di romanzi che avreste potuto regalare o farvi regalare (celando in ogni pertugio delle dimore di potenziali benefattori bigliettini con titoli scarabocchiati a penna rossa, in stampatello). In molti condividiamo il dramma della sindrome del lettore sotto le feste. I sintomi sono: ansia, possibili eruzioni cutanee, sudorazione eccessiva, scatti d'ira e depressione post scartamento. La nostra condizione di lettori ci condanna a ricevere qualsiasi cosa abbia una forma quadrata o rettangolare, con dentro pagine e inchiostro. Purtroppo nella categoria rientrano fin troppi libri e, ahimè, nessuno dei vostri desiderata finirà tra le vostre mani a meno di un'esplicita richiesta. Il motivo è inspiegabile ma ciò non smentisce il teorema. L'unica soluzione è immettere nella vulgata delle vostre cerchie i romanzi davvero belli, e non solo Veronika decide di morire, che non è nemmeno di buon auspicio, per altro. Condividiamo allora le irresistibili liste di Natale. Chi non le ama? Possiedo un taccuino solo per stilare liste. Cose che non farò mai, viaggi che non farò mai, vestiti che non indosserò mai e soprattutto libri che mi aspetto di ricevere a Natale, questa volta però non è detto che il messaggio non arrivi a destinazione.
Quali sono le vostre wishlist natalizie? Condividetele sui vostri social network, in modo che finalmente abbiano (forse) una reale utilità e non solo quella di farsi rimorchiare dai cinquantenni con famiglia.
Buone feste, cari e grazie del supporto che ormai mi date da più di anno (sic!).

Qui trovate il post dell'anno scorso (nel caso vogliate più titoli tra cui scegliere) qui e qui invece trovate le mie wishlist anobi e pinterest (il sito in cui il tempo è immobile e da cui, una volta entrati, è quasi impossibile riemergere).


venerdì 24 ottobre 2014

Come finisce il libro? E i lettori?


Come finisce il libro? Questo è la questione del saggio di Alessandro Gazoia, noto già ai lettori del web con il nome di jumpinshark, edito da minimum fax  quest'anno. Ottime riflessioni sull'editoria trendy e sulla retorica trionfalistica con la quale accogliamo inconsapevolmente pericolosi monopoli come Amazon. La disamina coinvolge temi che animano da tempo il mondo dell'editoria come l'autopubblicazione, la pirateria digitale e il dibattito culturale sul web. La scrittura di Gazoia riesce ad essere acuta e pungente, senza mai cedere allo snobismo provocatorio o all'antipatica compiacenza delle elite culturali ma, anzi, muovendosi disinvolto tra i campi della cultura pop. In linea con un approccio concreto e vivace, l'autore decide di fare appello costante al lettore. L'interrogatio, oltre a rendere la lettura più partecipativa, sottolinea l'importanza e l'unicità del ruolo del lettore nel mondo editoriale oggi. Non la scambiate per una ruffianeria. La lettura è in nuce un atto che ormai assume pratiche diverse e uniche per ogni soggetto. Tutte da valutare ed interpretare. "Come finisce un libro" lo raccomando per un consumo consapevole della literary fiction, soprattutto a chi si sente soffocato da promozioni commerciali e opzioni di acquisto volte al Cliente e non al Lettore. Consiglio anche un altro saggio complementare (oltre a quelli già citati nelle note del libro): "Rete padrona - Amazon, Apple, Google & co. 
Il volto oscuro della rivoluzione digitale" di Federico Rampini, edito da Feltrinelli (2014).  

La lettura di questo libriccino è avvenuta a ridosso dell'uscita di questo video in cui espongo il mio parere sulla rincorsa del successo facile da parte di editori poco lungimiranti. Ma parlo anche, come fa Gazoia, del cambiamento nella fruizione dei prodotti culturali (dovuto in parte allo sviluppo di sempre più accessibili interfacce) e sul destino dell'entertainment. 



Sotto il video si è sviluppato un interessante confronto di idee che vi invito a leggere, almeno per farvi un'idea più chiara riguardo la mia opinione, che in video spesso è intrecciata alla mia verve, per alcuni troppo infuocata. Un commento tra i molti, ho giudicato particolarmente fertile. 

Enrica:
"Il punto è che la sempre crescente immediatezza dei mezzi di comunicazione non viene sfruttata nel modo giusto. Se invece di utilizzarla per bombardare i lettori (o come giustamente dici, i consumatori) con informazioni e promozioni, venisse usata per creare momenti di condivisione, di confronto, di scambi di idee, la lettura sarebbe maggiormente interpretata come un'esperienza e un'esperienza si individuale, ma anche collettiva. Non è un caso che la gente ti scriva che guardando i tuoi video ha riscoperto l'amore per la lettura! proprio perché si crea quel momento di aggregazione e anche di crescita che la "letteratura di consumo" (come ignobilmente la si definisce) non potrà mai dare. Alla fine di cosa di tratta? Semplicemente di scegliere tra un beneficio di brevissimo termine e uno che potrebbe produrre i suoi effetti anche per il resto della vita. Solo che spesso le persone non sanno proprio che ciò che cercano e di cui hanno bisogno esiste già. In questo senso apprezzo che molte librerie si stiano evolvendo in café letterari: perché se anche la motivazione di fondo è economica, non è in contrasto con una visione strategica ( e quindi di lungo periodo) del modo di concepire la letteratura, come appunto momento di condivisione tra persone accomunate dalla stessa passione, prima che razionali consumatori".

A proposito dei café letterari, ultimamente mi ritrovo a frequentare sempre più spesso una libreria, la Gogol&Co a Milano, dove per altro ho acquistato il libro di Gazoia. Io mi reco lì per studiare, ma tra una pausa e l'altra ne approfitto per leggiucchiare e per origliare i discorsi del librario con fornitori e altri personaggi. Vi giuro che è vero! Ogni giorno che mi sono recata lì, l'ho sentito discutere animatamente di editoria, di librerie indipendenti e di come si possa sopravvivere in questo mondo di squali, facendo un lavoro corretto e soddisfacente dal punto di vista umano e culturale. Io ero appollaiata al piano di sopra e pensavo: "Allora si può fare!". 


(Qui trovate una mia incursione nella libreria milanese, insieme ad altri posti dedicati alla lettura che ho esplorato) 


Credo fermamente nel fatto che le persone siano disposte a spendere per la letteratura tanto quanto sia il valore ad essa riconosciuto. Se attribuiamo al libro un prezzo al ribasso - come qualsiasi altra merce - nessun lettore vorrà spendere più di quel valore fissato (magari da un bollino, a 9,90 euro). Se escludiamo dall'equazione la variabile artistica e umana, qualsiasi libro costerà sempre troppo ed è così che abbiamo iniziato a perdere i lettori. 

giovedì 18 settembre 2014

Milano, i libri, le valigie e il tram

Mi è capitato di rileggere dei post che ho scritto negli ultimi settant'anni, evidentemente sotto una cattiva stella. Si aprivano tutti con una domanda retorica. Un'orrenda, inelegante e inadeguata domanda retorica. Indi per cui farò uno sforzo sovrumano e cercherò di NON iniziare con tale sgradevolezza. Andiamo dritto al punto. Ho cambiato città. Mi sono immessa anch'io nella genia degli studenti fuori sede. Un'altra meridionale a Milano.



Saltiamo la riflessione socio-economica-storica-psicologica da servizio di Studio Aperto, e passiamo alle cose allegre. Ancora le lezioni non sono iniziate. Sono libera di scorrazzare per la città, perdermi, prendere i tram sbagliati, mangiare in posti troppo costosi per le mie tasche, camminare fino a farmi venire il mal di schiena e le vesciche ai piedi.

 Da una settimana faccio la turista. Solo che al posto delle calamite per il frigo, compro quaderni, in vista della mia entrata trionfale all'università. No, davvero, ho una malattia grave. Ne ho comprati sette in cinque giorni. Non dovete farmi visitare il reparto cartoleria, divento indomabile. Siete mai entrati in posti come Muji o Tiger? Ecco, allora potete capire. Seguono a mena dito l'antica arte dell'ipnotismo per sedurti, convincerti di avere un disperato bisogno di oggetti inutili e leziosi, spremerti come un limone e abbandonarti poi sul ciglio della strada come il più miserevole dei clochard, provvisto altresì di un portabanane e otto chili di incenso.



Il paradosso è che ho la netta sensazione che tra poco conoscerò meglio Milano che la mia città natale. Mi ha fatto riflettere il commento di una ragazza alla mie peregrinazioni: "Io vivo a Milano da un po' e pare che tu in una giornata abbia visitato più posti di me in quattro anni". La verità è che ho sempre sentito parlare di Milano, è uno di quei poli d'attrazione che non puoi fare a meno di subire, almeno per me è stato così. E ora che ci sto, mi sento come risucchiata. Ne voglio assaggiare ogni pezzetto. Ho tutta la foga di una turista che ha a disposizione solo una settimana per godersi una città. Ho lasciato a casa la pigrizia (qui sto usando un'iperbole, signori) e mi è rimasta solo tanta voglia di esplorare.

MOMENTO INTELLETTUALE Sto girando tantissimi musei, li scelgo attraverso un semplice criterio: devono essere gratuiti. Almeno, all'inizio cercherò di trattenermi perché potete comprendere il fatto che mi sono appena trasferita e devo ammortizzare certe spese. No, non ho un lavoro, ahimè. Mi ha sorpreso notare che in effetti la scelta non manca. Il Museo del Novecento (personalmente non mi ha elettrizzato) e le splendide Gallerie d'Italia, ad esempio. Le riduzioni di prezzo sono comunque onnipresenti. Le mie prossime tappe sono: il museo Poldi Pezzoli e il museo di scienze naturali. La meta più ambita rimane la Pinacoteca, che però attendo di visitare la prima Domenica di Ottobre. Se non lo sapeste già, vi ricordo che in quella data, tutti i musei sono aperti gratuitamente al pubblico. Milano comunque non manca di esempi di magnifica arte anche en plein air. A parte la monumentale architettura, ci sono tantissimi artisti di strada (specie Corso Vittorio Emanuele).
FINE MOMENTO INTELLETTUALE
Allego speciali foto della mia esperienza al museo, coronata dalla sirena assordante dell'allarme fatto scattare da me medesima accidentalmente, cercando di aprire una porta che avrebbe dovuto portarmi alla toilette ma che evidentemente conteneva le sacre reliquie di qualche nobile briccone.





Il lato più curioso della vicenda è che ho modo di privilegiare un aspetto delle esplorazioni in città aliene che spesso viene del tutto trascurato, appunto per mancanza di tempo. I libri. Ho sempre pensato che uno dei tanti modi di giudicare una città fosse legato al rapporto di quest'ultima con la lettura, i librai, le biblioteche, i lettori e persino i non-lettori. è difficile che Milano non riesca a soddisfare le esigenze di un lettore onnivoro. C'è tutto ciò che avete sempre sognato. Le librerie sono tantissime, da quelle più grandi (come la Hoepli, vicinissima al centro che offre anche tantissime letture in lingua) a quelle più piccine; dalle grandi catene alle librerie indipendenti, librerie tematiche (la libreria del mare e della montagna!), diversi punti vendita Libraccio, e non dimentichiamo le bancarelle di libri usati per le strade.
Adelphi al 40% in Piazza Fontana
La trovate a Cairoli, è adorabile




















Solo da una settimana sono arrivata e già ne ho girate parecchie. Dei piccoli eden per noi lettori. Potevo non approfittarne? Sì, a Milano da pochi giorni e ho già comprato un libro. Qualcosa mi dice che costruirò casa mia, usandoli come mattoni.


Come ci insegnano i peripatetici, passeggiare è ottimo per riflettere e partorire idee. A me ne è venuta in mente una semplice. E se vi portassi con me? Visitiamo insieme Milano, piena di angolini nascosti e paradisiache oasi per noi lettori. Suggerimenti? Consigli? Ricordate che sono solo una principiante, guidatemi voi. Una volta raccolto il materiale, filmerò tutti i miei viaggi in questa città di carta e spero di superare la mia goffaggine e il mio imbarazzo tecnologico per montare un video con i fiocchi. Spero che l'idea vi entusiasmi. Io m'impegnerò a filmare tutto decentemente. Vi assicuro che riprendere in pubblico è più imbarazzante di quanto crediate. Ma ho l'alibi della turista, sicché.
Vi risparmio i dettagli sul vero e unico tour che sto facendo: quello culinario. Pensate che sono riuscita a mangiare persino pane e panelle (quelle buone, quelle vere!)quassù. Chi l'ha detto che si mangia male? Forse i milanesi. Ma fin ora io di milanesi non ne ho visti, secondo me non esistono. Milano, New York d'Italia?
Antica Focacceria San Francesco, Via San Paolo