sabato 7 novembre 2015

L'orrendo ignoto di Jeff Vandermeer


"Accettazione" - capitolo conclusivo della trilogia dell’Area X  -  è l’ennesima apnea nel conturbante oceano creato da Jeff Vandermeer. 
Preparatevi a rimanere intrappolati, come i protagonisti, per delle lunghissime ore nell’Area x, per di più nel bel mezzo dell’inverno. Se Autorità - secondo capitolo della trilogia - adottava un punto di vista esterno alla Zona anomala e ci offriva un quadro meno compromesso, un’inquadratura dal confine, in Accettazione ci troviamo di nuovo nel caos dell’Area X, a fare i conti con tutte le sue bizzarrie faunistiche e anomalie topografiche. 

“Quando hai deciso di entrare nell’Area X hai rinunciato al diritto di dire che una cosa è impossibile”.

Ancora una volta, infatti, è lei la protagonista decisiva della narrazione: l’Area X. Lo scenario inquietante, dipinto da Vandermeer, vede l’uomo ostaggio di un luogo che gli è ostile o, ancor peggio, indifferente a tal punto da fagocitarlo per istinto. La natura ha acquisito coscienza propria, un proprio respiro, una propria volontà. Dall’incontro con questo orrendo ignoto nascono l’ossessione e la paranoia della contaminazione che seguono le classiche atmosfere del body horror (le copertine disegnate da LRNZ danno un’idea). L’ambientazione creata da Vandermeer rappresenta l’ecosistema naturale danneggiato, la prefigurazione di una Natura che, dopo essere stata a lungo contaminata, sia andata incontro ad una trasformazione che anziché farla morire, l’abbia portata ad assumere la capacità di attuare un’invasione, agendo completamente al di fuori della portata dell’uomo.  Risuona beffarda di sottofondo l’impotente retorica delle Smart Cities a misura d’uomo (e magari con tanti spazi verdi!). Per quanto l’Area X sia un’ambientazione aliena, nel terzo capitolo diventa ancora più evidente il sospetto che sia certamente il prodotto dell’azione umana e quindi sua precisa responsabilità. Di definizioni per descrivere questo particolare filone ne sono state date tante: new weird, eco-thriler, climate fiction…
Tutti figli del grande calderone dello sci-fi, che si presta benissimo a rappresentare i diversi scenari del mondo che verrà. Sembrerebbe che tutti cullino lo stesso presentimento: il futuro sarà da incubo, soprattutto se continuiamo ad agire indiscriminatamente sull’ambiente che ci circonda.


La trilogia s’incastra su un binomio particolare: da un lato l’ombra della responsabilità umana, dall’altro l’impotenza dei personaggi contro questa nuova Forza che li infetta. I protagonisti infatti sembrano sotto scacco, sempre frustrati dall’inconoscibilità dei misteri dell’Area X. Questo impasse viene parzialmente superato in Accettazione che - per quanto il titolo presupponga una sorta di rassegnazione a fare i conti con forze più potenti di noi - si risolve in un finale particolare, in cui il “sacrificio” e il libero arbitrio dell’uomo contano ancora qualcosa.
Lo stato psicologico dei personaggi è, di nuovo, centrale, forse ancora di più che negli altri capitoli. La narrazione risulta più densa, ricca di personaggi e sfaccettature. Ci si muove tra più piani temporali(numerosi sono i flashback che contribuiscono a dipanare molti dei misteri lasciati in sospeso negli altri volumi) e diversi punti di vista che danno più dinamismo alla storia, soprattutto se paragonati al punto di vista unico dei precedenti capitoli, a volte asfissiante. Spesso pesa eccessivamente l'indugiare dell'autore in descrizioni macchinose sull'alterazione mentale dei personaggi ma è innegabile che i protagonisti, stavolta, hanno più agency. Soprattutto perché Vandermeer utilizza l’Area X come una sorta di purgatorio in cui pagare gli sbagli, le scelte (e le non scelte) della propria vita:
“Varcare il confine significava entrare in un purgatorio dove trovavi tutte le cose perse e dimenticate”.
L’idea è quella di creare un luogo estremo in cui le percezioni siano alterate, amplificati i ricordi, i rimpianti. Accettazione è il più insidioso dei tre capitoli, si muove tra due mondi, all’interno dell’Area X e all’esterno, nel mondo della vita quotidiana e nel mondo dove tutto è possibile e dove però tutto sembra allo stesso tempo più intenso, più reale. 
“L’unico pensiero che si insinua la sera, dopo un appuntamento dal medico o un salto al supermercato: in che mondo vivo in realtà?Puoi esistere in entrambi?”.  



Molto insistito è il motivo dello sguardo, creatore di mondi, che ricorda la metafora cinematografica. Si riflette nel continuo rimando all’idea di sorveglianza che c’è all’interno dell’Area X - “Del resto in quei luoghi qualunque cosa spiava e veniva spiata”- sia nel rimando continuo alla luce (tutto sembra animarsi sempre con un’illuminazione o un luccichio) e addirittura si fa un’ipotesi azzardata su come tutto possa essere nato per colpa di una lente…
C’è anche un fondo di metaletterario in Vandermeer: la figura dello Scriba in primis, ma in maniera più sottile, ciò che vedo, vive. Ciò che illumino, creo. Ciò che scrivo, forgio. 

Infine, nella trilogia, tutto è connesso. Luoghi e persone presenziano nella narrazione sempre come immagini speculari, doppioni che vivono in simbiosi. Il faro che rimanda ad un altro faro, il tunnel che gli è speculare, i doppioni fantocci ecc…
“Un faro che proiettava il suo segnale verso un altro faro”.

La trilogia dell’Area X è così conclusa. Un lavoro che è intessuto di echi, rimandi, il meglio delle suggestioni dello scrittore (in primis, Lost), rielaborati in questa trilogia “anomala”, una breccia nella mente, una singolarità. S’inserisce perfettamente nelle tendenze dello storytelling contemporaneo: serialità e coralità, un universo immersivo , capace di catturare il lettore con ingegno e raffinatezza. 


Unico appunto: avrei forse preferito più concretezza nella descrizione di alcune "creature" che popolano l'Area X, meno vaghezza. Ammetto di non essermi immaginata molti dettagli, descritti in maniera fin troppo ermetica.